Limiti

Nella nostra era che è stata chiamata Antropocene le grandi catastrofi diffuse nello
spazio e nel tempo sono ormai considerate “normali” (morti per incidenti, per
malattie, per fame, per guerre, per epidemie; scomparsa di biodiversità), parte della
vita moderna, ma la natura si è preso il compito di ricordarci che alterare o cambiare
le leggi di natura ha prima di tutto effetti su tutto il sistema vivente, che è
globalmente capace di trovare forme di adattamento, come dimostrato dalle piante in
450 milioni di anni.

Soltanto la specie umana, ultima ad apparire sulla terra, 200.000
anni fa, non è in grado e non avrà il tempo di adattarsi. Ecco il paradosso del nostro
tempo che dal lontano 1972 (Il Rapporto sui limiti dello sviluppo, dal libro The
Limits to Growth. I limiti dello sviluppo, commissionato al  MIT  dal  Club di Roma ) ha
dato origine al pensiero contemporaneo sull’ambiente e sulla biodiversità: “Se
l’attuale tasso di crescita della popolazione, dell’ industrializzazione ,
dell’ inquinamento , della produzione di cibo e dello sfruttamento
delle  risorse  continuerà inalterato, i limiti dello sviluppo su questo pianeta saranno
raggiunti in un momento imprecisato entro i prossimi cento anni. Il risultato più
probabile sarà un declino improvviso ed incontrollabile della popolazione e della
capacità industriale”.
Sono passati 48 anni e già stiamo osservando le trasformazioni locali e territoriali,
non soltanto i macro effetti. Esiste infatti un rapporto tra “l’equilibrio”, inteso come
stabilità macroscopica in un sistema complesso, e il “limite” dinamico oltre il quale
l’autopoiesi (autoriparazione dei propri danni) non è più possibile. Farò tre esempi :
uno sulla demografia del XXI secolo tracciato dalle Nazioni Unite, uno sull’acqua
dolce del Prioritizing Water on the Global Agenda , uno sulle terre coltivabili a cura
della Commissione europea.
I grandi cambiamenti della popolazione mondiale in questo secolo deriveranno, in un
verso o nell’altro, da Asia e Africa. La prima continua ad essere l’area con più
abitanti del mondo, ma con il suo progressivo sviluppo la crescita degli abitanti
dovrebbe prima rallentare e poi invertirsi intorno alla metà di questo secolo – un po’
com’è successo anche alla stessa Europa in passato. L’Africa ha invece ancora un
enorme spazio di sviluppo davanti a sé, che se sfruttato dovrebbe portare questo
continente nei prossimi decenni a diventare ben più popoloso di oggi: fin quasi a
raggiungere l’Asia intorno al 2100. Nel caso ritenuto più probabile dalle Nazioni
Unite, Asia ed Africa dovrebbero contribuire a portare la popolazione mondiale
Intorno agli 11 miliardi a fronte dei 7,8 di oggi, ma quello che le agenzie
internazionali vedono è una tendenziale e rapida diminuzione delle percentuali di
incremento della popolazione in una unità di tempo, non soltanto perché i paesi con
alta fertilità (più di 5 figli in media per donna) stanno letteralmente scomparendo,
mentre sono destinati a contrarsi anche quelli con fecondità intermedia (da 2,1 a 5

figli in media per donna), ma perché la diminuzione del tasso di mortalità tenderà a
fermarsi. Le cause sono molte e complesse perché vi sono fattori ambientali come
l’accesso all’acqua, fattori socio-economici quali la concentrazione degli abitanti
nelle aree metropolitane, la concentrazione delle ricchezze, l’accesso al cibo e fattori
sanitari come l’aumento delle malattie. Quello che risulta evidente è che per la prima
volta nella storia moderna e contemporanea la popolazione mondiale subirà una
contrazione in relazione a fattori prima di tutto ambientali.
Il secondo esempio riguarda l’acqua. Nel XX secolo abbiamo perso il 50% delle
nostre acque interne, con il risultato che vi sono 675mila morti premature ogni anno
per mancanza di acqua, non possiamo permetterci di perdere l’altro 50% nel XXI
secolo. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico calcola infatti
che oggi nel mondo siano oltre 1,8 miliardi le persone a non avere un accesso
all’acqua corrente e che l’89% delle morti conseguenti a fenomeni atmosferici di
particolare intensità avvengono nei Paesi in via di sviluppo nonostante questi siano
colpiti solo nel 26% dei casi. Ma il tema dell’acqua tocca tutti perché le crisi locali
possono rapidamente divenire globali. Sappiamo già che siccità prolungate in aree
agricole strategiche possono determinare i prezzi del mercato alimentare e mettere in
atto fenomeni migratori. I dati OCSE sono impressionanti, entro il 2050 infatti il 40%
della popolazione mondiale avrà alte probabilità di vivere in aree colpite da carenze
idriche, mentre il 20% sarà a rischio alluvioni, quindi dovremo studiare risposte
durature nel tempo, che prescindano dai confini nazionali e politici, e comprendere
come l’architettura globale del sistema non dovrebbe limitarsi solo all’acqua, ma
anche ad altri settori strategici ad essa connessi come quello agricolo-alimentare,
urbanistico ed energetico.
L’ultimo esempio riguarda le terre agricole. Il discorso è duplice, da una parte il
fenomeno storico della privatizzazione, il land grabbing che concentra in poche mani
terre agricole e risorse idriche rendendo difficile l’accesso al cibo di molti abitanti
della terra oppure la pratica di brevettare sequenze di genoma di piante; dall’altra la
progressiva erosione, consumo e trasformazione di terre agricole.
L’Unione Europea afferma che in Europa continuerà la tendenza di lungo periodo
alla diminuzione dei terreni complessivamente adibiti all’agricoltura, che passeranno
dai 176 milioni di ettari odierni a 172 entro i prossimi tre anni, con un contemporaneo
declino delle terre arabili. A livello mondiale il land grabbing si intreccia con due
altri fenomeni, la perdita di fertilità (terre improduttive) del 30% delle terre coltivabili
del mondo, la progressiva finanziarizzazione dell’agricoltura che concentra in poche
mani milioni di ettari di terre e allontana la proprietà dalle comunità locali che, una
volta espropriate, perdono lo status di contadini per divenire operai salariati in un
ciclo di produzione globale.
I limiti dello sviluppo su questo pianeta non sono più una ipotesi di analisi, ma la
realtà del nostro tempo e il sistema terra non è più in grado di autoripararsi
naturalmente, serve quindi una vera rivoluzione di pensiero capace di fermare questa
follia….e il tempo si è fatto breve.
Superato il fiume acheronte si apre una voragine a forma di cono, una frattura nella
coscienza umana, un buco nero dell’umanità, una lacerazione tra le parole che

descrivono il mondo e le cose del mondo; è l’inferno prossimo venturo che ci attende
per riconsegnarci l’eredità della nostra impronta ecologica. E’ il limite che diventa
metafora di catastrofe, ma noi umani abbiamo trasformato in festa anche il ballo
sull’orlo del cratere. [Marco Lorenzini]

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