Sabato 27 novembre a Como si è tenuta l’iniziativa Quale futuro per il popolo afghano promossa da Refugees Welcome, Lions Clubs ed altre associazioni del territorio. Alidad Shiri (giornalista e attivista che collabora con varie associazioni umanitarie), Rahila Saya (giornalista e attivista afghana, accolta in Italia alla fine di agosto) e Nello Scavo (inviato speciale di Avvenire e autore importante di inchieste sulle rotte dei migranti e il traffico di esseri umani), moderati da Andrea Quadroni (giornalista de La Provincia), hanno dialogato sulla drammatica situazione attuale del paese e su quale futuro spetterà il suo popolo devastato dall’incessante guerra.

Lo spunto arriva dalla nuova edizione del libro Via dalla pazza guerra, scritto da Alidad Shiri, un bambino che, da solo, fugge dall’Afghanistan venti anni fa. Prima di arrivare in Alto Adige, nel 2005 fa un viaggio traumatico, senza mangiare per giorni, attraversando l’Iran, la Turchia e la Grecia, sopravvivendo alla fame, alla sete, a pericoli di ogni genere, a violenze e abusi, tutto sotto a un tir.
Nel libro, ha raccontato il suo lungo viaggio arricchendo la nuova edizione con riflessioni sulla drammatica situazione attuale, la condizione delle donne, il futuro per il popolo afghano. Libro che non nasconde emozioni, speranze e sogni con cui lui ha vissuto e convive tuttora. Nella sua vita ha subito tanti traumi e ingiustizie, quella più grande per lui è stata la perdita della sua famiglia a causa dell’inutile guerra. Ha ancora nel cuore il dolore di avere perduto dei compagni di scuola sotto le bombe e durante il suo difficile viaggio verso l’Europa, di avere visto le donne del gruppo fermarsi in Turchia, perché non ce la facevano più ad andare avanti a piedi.
La situazione è sempre più complessa in Afghanistan «È un momento difficile per il mio popolo. La povertà sta aumentando a dismisura, – racconta Alidad – tante famiglie stanno vendendo i propri figli, i loro organi. Aumenta il mercato della droga, i contadini sono costretti a coltivare l’oppio e produrre eroina. Tanti/e non hanno la possibilità di partire – il viaggio verso l’Italia costa 10 mila euro o anche più, in Afghanistan pochi hanno tutti questi soldi – e sono costretti a rimanere lì, in un paese che purtroppo non riconoscono più.»
L’autore ha parlato della sua terra, raccontandone ogni aspetto; dalla storia, fatta di infinite dominazioni straniere, alla guerra che va avanti ininterrotta da oltre 20 anni, delle tante etnie che popolano il paese e delle due lingue parlate, dell’Islam e del rinnovamento dell’Islam stesso, che deve partire dall’Europa, del ruolo della religione nella società afghana, dei Talebani, della situazione dei bambini e dell’alfabetizzazione. Del ruolo della donna e del movimento femminile.
Molte donne afghane in questi anni hanno avviato un profondo cambiamento nella società. Sono state attive in associazioni umanitarie, hanno avuto nuovamente accesso a professioni che prima erano state vietate dai talebani. «Un tempo – spiega Alidad -, le donne potevano solo frequentare la scuola coranica e il loro percorso scolastico era destinato a fermarsi attorno agli 11 anni. Oggi, ci sono moltissime donne coraggiose che vengono spesso minacciate perché vogliono studiare. È una questione tribale che, nelle grandi città, sta “perdendo forza” mentre nei villaggi, l’idea che le ragazze non siano fatte per studiare è ancora radicata. Basti pensare che, secondo una ricerca fatta nel mio paese, ascoltando uomini e donne di ogni età e di ogni livello d’istruzione, risulta che il 93% degli intervistati è convinto che il capo famiglia debba essere l’uomo. Tante che lavoravano nelle forze dell’ordine, nella magistratura e che avevano altri ruoli – per sfondare il maschilismo e il fondamentalismo, – ora sono nella lista nera dei talebani, vivono nel terrore e nella paura, non possono scappare nemmeno verso il Pakistan o verso l’Iran perché i controlli aumentano sempre di più. Oggi si trovano un paese nuovamente devastato, senza scuole, strade, ospedali ma con tante armi.»

Rahila Saya aggiunge e sottolinea il fatto di come è essenziale supportare il popolo afghano, che ha diritto ad un futuro e un’accoglienza degna e chi vuole restare per ricostruire il paese deve poter vivere in pace nella propria terra. Riflette anche sulla libertà di stampa, libertà che in quel paese è bloccata. Evidenzia l’importanza di parlarne, di come il ruolo del giornalismo di raccontare queste dolorose situazioni può aiutare il popolo a trovare il coraggio di andare avanti.
Nello Scavo ribadisce il fatto che la guerra in Afghanistan in 20 anni ha prodotto 2 milioni di profughi che si trovano tra l’Iran e la Turchia, circa l’85% di loro vivono nei paesi più poveri, più vicini a loro (in Pakistan ci sono 2 milioni di persone afghane e anche in Iran). Questo anche perché, come ha aggiunto Alidad «Tanti Afghani ritornerebbero nel loro paese se la guerra finisse, io sono uno di loro, ragion per cui non ho mai fatto la richiesta per ottenere la cittadinanza italiana, speravo di tornare nel mio paese, anche se ora è molto dura e non posso più, ma io, come tanti e tante altre ci speravo…»
Alla domanda di Andrea Quadroni su come possano essere i prossimi mesi dal punto di vista di pressione migratoria Scavo afferma che il prossimo anno potremmo vedere dei flussi massicci proprio perché queste persone tenteranno inevitabilmente di raggiungere l’Europa, nei mesi in arrivo non avremo flussi facilmente gestibili anche perché il nostro continente non vuole cambiare la propria politica verso le persone migranti, non vuole investire sulle vite per operare nella direzione di un’accoglienza dignitosa per i profughi afghani e per tutte le donne e gli uomini che cercano un futuro migliore.
La guerra da sempre devasta vite, ambiente, democrazia, diritti. L’Europa purtroppo continua a finanziare il respingimento delle persone, basti vedere gli atteggiamenti disumani vicini a noi, nei confini della Polonia, in Bielorussia o nei mari… L’Europa guarda i bambini sulle rotte della paura, lasciati soli, donne e uomini picchiati, massacrati, respinti, perseguitati e cacciati.
Un continente che si è scordato del rispetto della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza, del rispetto dei diritti umani, valori che dovrebbero essere comuni agli stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla solidarietà, dalla parità tra uomo e donna. L’Europa che si è dimenticata di tutti quei valori elencati nell’articolo 2 del Tue, e un’Italia che dimentica i suoi articoli della Costituzione. All’Italia e all’Europa domando… dove sono i diritti umani? [Somia El Hariry, ecoinformazioni]
