
Conclusione al Teatro Aurora di Olgiate Comasco del XIV convegno del CcP. Una cinquantina di persone hanno assistito alla proiezione del video sui 50 anni della Macia Perugia Assisi ce ascoltato gli iterventi di Fabrizio Truini (Pax Christi Roma) Cristiana Fiamingo (africanista e presidente del Comitato Italo-Libico Ma’an li-i Ghad Insieme per il domani) Girgio Beretta (Rete Italiana Disarmo) Piero Maestri (Guerre&Pace). Chiusura di gusto solidale con l’aperitivo a cura di Garabombo. Guarda un breve video con passi dagli interventi di Beretta e Maestri. Presto on line altri video.
Un pomeriggio ricco di interventi a conclusione del quattordicesimo convegno comasco per la Pace al Teatro Aurora di Olgiate Comasco, nel pomeriggio di sabato 10 dicembre. In apertura la proiezione di un video della prima marcia della Pace Perugia Assisi. Sul tavolo dei relatori una bandiera arcobaleno, simbolo della Pace, come le bandiere che venivano portate dai partecipanti della prima marcia voluta da Aldo Capitini nel 1961, mostrate dal filmato proiettato in sala. Bandiere di questo colore perché la Pace è come un arcobaleno prima della tempesta, perché «la Pace – spiega la voce fuori campo del filmato – deve impedire la guerra per non essere solo un bilancio di rovine».
Apre i lavori Fabio Ronchetti che presenta i relatori e dà la parola a Fabrizio Truini. «Il pensiero della non violenza, traguardo del novecento, è un pensiero complesso, e sicuramente è per questo persone come Capitini risultano spesso sconosciute». Ma questa secondo Truini non è l’unica ragione, ce n’è un’altra, più importante:«Persone come Capitini sono dei rivoluzionari, degli eversori, vogliono rinnovare la religione e la politica. Per questo hanno molti avversari e non sono noti».
Capitini, come ha detto Truini, incarna l’ideale di un pensatore che, anche sotto una dittatura lotta per essere padrone del suo futuro, che è disposto a sacrifici per difendere la propria coerenza. Si rifiutò, per esempio, di prendere la tessera del partito fascista e fu costretto a rilasciare le dimissioni dall’università dove lavorava. Questo perché parlare di Pace significa anche «parlare di una questione politica». E anche oggi «occorre un atteggiamento religioso nuovo e una politica che sappia mettere in pratica concretamente questi percorsi» ha detto Truini. «Molti giovani hanno capito importanza di questi temi, qualcosa si sta muovendo. In questi frangenti, dove il potere economico ci sta strangolando, dovremmo opporci alle spese per gli armamenti». Truini poi ha ricordato ai presenti, e soprattutto ai cristiani, l’episodio biblico del sacrificio di Isacco: «Dio ha vietato ad Abramo il sacrificio del figlio. Ricordiamoci che oggi quelli che muoiono sono i giovani, che vogliono felicità, diritti».
L’africanista Cristiana Fiammingo evidenzia una grave mancanza di informazione sulle guerre attuali. Si riferisce in particolare a quella in Libia, del 2011. Una mancanza di informazione che, secondo la relatrice, può essere paragonata a quella della guerra italo turca del 1911, di quando cioè gli Italiani stavano cercando di rendere il territorio libico un proprio possedimento coloniale. «In quel tempo – dice Fiamingo – veniva diffusa l’immagine di una Libia ricca che avrebbe potuto accogliere molte persone. Il potere di propaganda del giornalismo di regime cercava di presentare la Libia come una terra rigogliosa dove i contadini potevano trasferirsi, facendo leva anche sulla presunta felicità dei locali di avere un dominio italiano al posto di quello ottomano». Per quanto riguarda il conflitto attuale, Fiamingo dice: «È difficile informarsi a causa del segreto militare e scarsità di informazione. La guerra in Libia è diversa da come ci è stata presentata. Non è stata chirurgica. Abbiamo scoperto alla fine della guerra, per esempio, di aver avuto il comando delle operazioni militari marittime e nessuno nemmeno ci ha detto con chiarezza i costi economici della guerra. Siamo stati distratti dalla fascinazione per il progresso militare e tecnologico, cavalcato dai mass media e sono state cancellate vite, responsabilità e corresponsabilità che noi dovremmo pretendere di conoscere». Cita l’esempio del giornalista libico Mohammed Nabbous, un ragazzo che armato di telecamera ha filmato per la piccola televisione di Tv Libya Alhurra la città devastata di Bengasi, disperato per non aver incontrato televisioni più importanti come Al Jazeera fare lo stesso.
Celeste Grossi, ha introdotto la seconda parte della sessione sottolineando il fatto che la democrazia in Italia sia ridotta per mancanza di informazione e soprattutto per il fatto che sia stato calpestato partecipando a conflitti in Afganistan, in Iraq e in libia l’articolo11 della Costituzione «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
Giorgio Beretta, che con molta passione e energia ha cercato di concentrare l’attenzione dei presenti su un tema circoscritto, quello della vendita degli armamenti. «Il quarantasette per cento degli armamenti italiani va a finire nei paesi del Sud del mondo e il trenta per cento nel medio oriente. Nel nostro paese ci sono quindi industrie che se non avessero questi mercati sarebbero chiuse. E per salvaguardare questi interessi particolari, il commercio degli armamenti non viene fermato perché farlo metterebbe in crisi il nostro modello di sviluppo». Per opporsi a questo modello di sviluppo e promuovere la pace, secondo Beretta è fondamentale applicare rigore, coerenza e professionalità, e così arrivare a una capacità di influire nel contesto politico attuale. Ha fatto molta attenzione alla concretezza invitando chi si ritiene pacifista a stare attento all’aspetto economico della guerra, e a valutare quindi coerentemente, per esempio, con quale banca aprire il proprio conto per non finanziare con i propri soldi imprese che promuovono la guerra. C’è bisogno quindi, secondo Beretta, di affiancare a un discorso morale e filosofico sulla Pace atti concreti, per creare fratture nel sistema che permette la guerra. «Non pensiamo che la Pace sia senza costo. La Pace ci presenta il conto. Sta a noi decidere se vogliamo pagare».
Piero Maestri, evidenzia la dialettica presente in seno alla posizione pacifista, quella tra chi si impegna per la Pace e chi si oppone concretamente e immediatamente alla guerra. Una dialettica che, secondo Maestri, non si risolve necessariamente in un conflitto antitetico.
«Per costruire la pace – spiega il direttore di Guerre&Pace – bisogna riconoscere le guerre, riconoscere i motivi che ne stanno alla base, individuare i responsabili e riconoscere le cause profonde della guerra». « Riconoscere le cause profonde della guerra significa capire che il nostro modello economico le produce. Non c’è pacifismo senza rivoluzione, o si cambia il modello economico, o questo sistema economico comunque prepara la guerra. Inoltre riconoscere i responsabili della guerra significa anche riconoscere le nostre responsabilità». Dopo aver compiuto quest’analisi, secondo maestri, si può parlare di opposizione alla guerra in maniera più piena, con una capacità critica e di analisi maggiore. «l’Italia è in guerra da vent’anni e questo è determinato da un modello basato sull’idea che la guerra serva a garantire i mercati, la stabilità dei flussi migratori, l’economicità delle materie prime. E’ un modello che è cominciato con i bombardamenti di Baghdad e che ora continua con quello in Libia».
Per opporsi in maniera efficace al perpetrarsi di questi conflitti secondo Maestri è necessario comprendere le rivendicazioni dei popoli dove, come in Siria, per esempio, sono in atto mobilitazioni popolari per liberarsi dalle dittature. Questo andrebbe fatto «comprendendo le richieste dei popoli nel momento in cui iniziano a essere espresse, per costruire con loro le possibilità di liberarsi dalle dittature pacificamente».
Celeste Grossi conclude il convegno Se vuoi la Pace prepara la Pace ringraziando le assoociazioni e le istituzioni che hanno contribuito a realizzarlo, sottolineando l’importanza di questi due giorni di incontri come una concreta azione di pace, perché, come diceva Shirin Ebadi, premio Nobel per la Ppace, «Se non potete eliminare l’ingiustizia, almeno raccontatela a tutti». [Matilde Aliffi per ecoinformazioni]