Mese della Pace 2020: un incontro per conoscere il carcere

Uno degli incontri più attesi tra i molti organizzati per il Mese della Pace 2020 era quello dedicato al carcere, fortemente voluto dal settore “Carcere e periferie” nato in seno al gruppo organizzatore: occasione per conoscere un luogo separato e rimosso dalla coscienza collettiva.

Con soddisfazione, quindi, è stato apprezzato il notevole numero di persone convenute in biblioteca ieri sera, 17 gennaio: un pubblico attento, segno evidente di un’esigenza di partecipazione e informazione.

L’incontro ha dato in primo luogo la possibilità di fare il punto su una situazione particolarmente complessa, come il direttore del carcere Fabrizio Rinaldi ha più volte ripetuto: la “casa circondariale” del Bassone a Como (questa la sua denominazione corretta) accoglie circa 430 persone; di queste una cinquantina sono donne; da qualche tempo – inoltre – è stata aperta anche una sezione per transgender dove sono attualmente presenti 15 persone. La casa circondariale registra uno dei tassi di sovraffollamento più alto d’Italia: oltre il 190%, il che significa che la popolazione reclusa è quasi il doppio di quella che dovrebbe essere e che alcune celle pensate come singole sono oggi usate per due o addirittura tre persone. Un altro problema grave per il carcere di Como è costituito dal fatto che – progettato come luogo a servizio del territorio (quindi per persone in attesa di giudizio, come indica la sua titolazione originaria) – è oggi usato in gran parte per persone che scontano la pena definitiva (sono circa i due terzi del totale). Circa la metà della popolazione carceraria è costituito da tossicodipendenti, così come la metà dei reclusi è di nazionalità diversa dall’italiana.

Fabrizio Rinaldi, direttore del carcere del Bassone

Raccontare una realtà così complessa non è cosa da poco, ed è quindi comprensibile che nell’incontro coordinato dal giornalista Marco Gatti siano stati privilegiati gli aspetti positivi, gli sforzi messi in atto per offrire a detenuti e detenute un «percorso di responsabilizzazione» – come ha sottolineato il direttore -, le pratiche di accoglienza – come ha ricordato il cappellano padre Michele -, le attività di formazione professione – che l’associazione Homo Faber, rappresentata ieri sera da Patrizia Colombo, organizza da oltre 15 anni -, o ancora le attività sportive – proposte dal 2002 dalla Uisp, di cui ieri sera hanno dato conto Federico Ioppolo e Concetta Sapienza.

Il rischio era quello di dare del carcere una versione edulcorata, confinando tra le righe la drammaticità della situazione (un atteggiamento che ha trovato la sua paradossale espressione nell’intervento dell’assessora ai Servizi sociali del Comune di Como, che è giunta ad affermare che la «carenza di risorse» ha l’effetto positivo «stimolare il volontariato»); l’accalorato intervento dell’avvocato Marcello Iantorno ha quindi avuto il merito di riportare in primo piano la condizione disastrosa delle carceri italiane (quella del Bassone è solo un poco migliore della media), inserite in un sistema che spesso interpreta l’osservanza della legge in termini meramente punitivi (quasi nulla è stato detto dell’importante esperienza della giustizia riparativa – che anche a Como ha conosciuto in questi ultimi anni – espressioni di grande interesse e utilità). La complessità del rapporto tra territorio e carcere – complessità autentica, si intende – è stata messa in evidenza dalle contraddittorie risposte rispetto alla richiesta di una maggiore apertura dell’esperienza carceraria, anche e soprattutto in prospettiva di una formazione più completa per quelle figure professionali che poi con questo mondo dovranno confrontarsi (Claudio Fontana – per esempio – ha sollecitato la possibilità di un lavoro comune con gli studenti di Giurisprudenza): da un lato ci si è chiusi dietro una richiesta di “riservatezza”, dall’altro si sono valorizzate le esperienze che hanno consentito anche a giovani e giovanissimi di entrare in rapporto con le persone recluse, attraverso la mediazione della narrazione.

Basterebbero comunque gli interventi di due giovani ex carcerati (uno detenuto per 9 mesi, l’altro per 5 anni), con la loro ricchezza umana e le loro esperienze, per affermare che l’incontro è servito a squarciare – almeno in parte – il velo di colpevole distrazione che separa chi è fuori da chi è dentro.

Nell’intervento finale Abramo Francescato – a nome del Coordinamento comasco per la Pace e del gruppo organizzatore della Pace – non ha mancato di sottolineare quanto il tema della Pace abbia importanza nel ragionamento su reclusione ed esclusione, quanto la modalità della repressione e della detenzione sia utilizzata nella società attuale per mettere da parte i problemi radicali: mentre si discute di come “rendere più umane” le carceri, le leggi cosiddette “sicurezza” propongono per i problemi delle migrazioni solo luoghi di detenzione come i CPR.

La Marcia della Pace di domenica 19 gennaio è l’occasione per riflettere sulla complessità e la connessione di tutte queste questioni.[Fabio Cani, ecoinformazioni] [Da ecoinformazioni.com]

Già on line sul canale di ecoinformazioni tutti i video, di Mara Cacciatori e Musa Drammeh, dell’incontro.

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