Riconoscere il legame tra pace, giustizia ambientale e sociale

Il primo incontro del Forum provinciale per la Pace 2023 dal titolo Guerra, cambiamento climatico, pandemia e disuguaglianza sociale che si è tenuto al Teatro Nuovo di Rebbio, con la partecipazione di Guido Viale e Alessandra Mecozzi, è stata un’occasione di ragionamento partecipata su quali sono le vie d’uscita alla guerra, nella sua correlazione con la crisi ambientale e sociale attuale.

L’incontro del 14 gennaio al Teatro Nuovo di Rebbio, nell’ambito del Forum provinciale per la Pace 2023, è stato aperto dal padrone di casa don Giusto Della Valle. Nel suo discorso di benvenuto don Giusto ha voluto sottolineare l’importanza dell’iniziativa, in primis per «capirci di più rispetto a quanto sta succedendo in Ucraina». Attraverso il metodo di vedere, giudicare, e agire.

Insieme a lui Fabio Cani, in rappresentanza del gruppo del Mese della Pace, ha ringraziato l’organizzazione impeccabile della giornata e sottolineato l’importanza di questo ritrovo, definito in senso stretto politico. L’obiettivo dell’invito di Alessandra Mecozzi e Guido Viale, i relatori, è stato quello di cercare insieme a loro possibili pratiche e obiettivi condivisi su cui lavorare.

Alessandra Mecozzi, attiva nei sindacati e attivista per il popolo palestinese, nel suo intervento ha riportato una visione centrata sull’esito sociale di questa fase storica ma anche sulle pratiche di educazione alla pace. «La guerra è diventato un fatto strutturale, del mondo, della politica, della cultura», ha affermato. Un fatto che oggi ci colpisce maggiormente rispetto al passato, poiché nel cuore dell’Europa. «Ma il mondo oggi è pervaso da una diffusa pratica di guerra. L’Europa è nata grazie a una idea di convivenza, dialogo e pace ma questo oggi non è così evidente», ha continuato. «Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, Yemen, e Palestina. Questo sviluppo della guerra ha portato a centinaia di migliaia di morti, distruzione di vite e natura ma anche di culture e popolazioni». Una distruzione frutto di una cultura militarista e patriarcale foriera di scontri tra potenze e nuovi colonialismi, che soprattutto il movimento femminista ha condannato con la volontà di liberarsi dalla virilità guerriera, sostiene Mecozzi.

C’è poi il problema politico ed economico del riarmo, per cui gli investimenti prendono la direzione di una sicurezza armata mentre sempre meno si dà voce a concetti come sicurezza della natura, dell’istruzione, della sanità pubblica. A questo proposito Mecozzi ha citato la rete della Società della cura nata durante la pandemia che ha messo al centro l’idea della cura come generale senso di attenzione all’umano, alla natura, al mondo in cui viviamo e di una protezione di questo.. «Ci sono molte realtà che si muovono, che movimenti di un’altra generazione riescono a intersecare, come Fridays for Future, Extincion Rebellion, Non una di meno. In questo senso è importante anche la cura delle relazioni, della conoscenza e la riflessione collettiva».

Nel suo intervento Guido Viale, attivista, sociologo e saggista italiano, ha invece presentato le correlazioni tra fenomeni, i legami tra guerra, pandemia, disuguaglianza e crisi climatica. Secondo Viale, oggi quello del collasso eco-climatico è l’elemento cruciale, nel suo legame con la crisi di una società che manifesta un’enorme differenza nei redditi e nell’accesso alla salute, all’istruzione, alla mobilità. A questo proposito ha citato l’enciclica Laudato Sì di Papa Francesco, come documento politico e sociale importante per aver «centrato il problema della connessione tra giustizia climatica e giustizia sociale»

Questa correlazione non è abbastanza discussa, secondo il sociologo, e di conseguenza risultano insufficienti le azioni per porre rimedio a questi problemi. «Per passare dalla consapevolezza astratta alla pratica quotidiana – anche delle lotte – non riusciamo a vedere come le rivendicazioni debbano essere compatibili con le mitigazioni dei fattori che provocano la crisi climatica. È necessaria una dimensione operativa verso quella che Alex Langer chiamava conversione ecologica: cambiare la struttura produttiva delle società in cui viviamo da una dimensione oggettiva ma anche nella dimensione soggettiva». Viale ha rimarcato la necessità del controllo delle pratiche delle fabbriche, degli uffici ma anche dell’agricoltura in senso sostenibile, oltre alla necessaria collaborazione fra entità, soggetti e attori che occupano il territorio. «Una sinergia per studiare come si opera, come si consuma, e costruire un processo di acculturazione verso la conversione ecologica nella comunità». Ha citato infine le migrazioni e lo scenario odierno, in cui viene difficile distinguere i profughi che provengono da situazioni di guerra o di condizioni ambientali insostenibili.

Al termine dell’incontro sono intervenuti Abramo Francescato, del Mese della Pace, che ha citato la natura dirimente del problema ambientale a livello di associazioni e movimenti e ponendo il dilemma di quale via intraprendere tra una conversione ecologica pianificata e il supporto delle resistenze per dare vita a una risposta più forte della società civile. Poi Michele Marciano, del circolo Legambiente Angelo Vassallo ha quindi parlato dell’economia capitalistica e delle sue responsabilità, del bisogno di formazione e di entrare nel merito delle questioni. Roberto Caspani, del Coordinamento Comasco per la Pace, ha citato la necessità di dare voce a chi non ha voce. È intervenuto Claudio Fontana, sulle forze che abbiamo scatenato a livello umano ma che non siamo più riusciti a gestire. E quindi ancora Fabio Cani, che ha sostenuto a sua volta di come il fatto di riprendere maggiormente a utilizzare fonti fossili da parte dei governi in un contesto di crisi climatica deponga a sfavore dell’intelligenza umana.

Impressioni diverse e prospettive differenti si sono avvicendate nella serata, concordi però nel considerare la crisi ambientale come profondamente legata alle disuguaglianze sociali. Due fenomeni legati anche a quello della guerra, che insieme coesistono e sono responsabilità di chi detiene il potere di prendere le decisioni a livello nazionale e internazionale. Decisioni che, secondo quanto è emerso dall’incontro, rendono sempre più necessaria una presa di posizione netta da parte della società civile, dei movimenti e delle associazioni – pacifiste, ambientaliste, femministe – per evitare l’ulteriore protrarsi del collasso climatico e sociale. La domanda che forse un po’ rimane è: come e con quali prospettive? [Daniele Molteni, ecoinformazioni, foto di Pietro Caresana]

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